CAMBIO DI PASSO SULL’ONERE DELLA PROVA DELL’INTESA ANTITRUST PER LE FIDEIUSSIONI RILASCIATE DOPO IL 2005: NOTE A: TRIB. ROMA, SEZ. IMPRESA. ANTITRUST, 27 GIUGNO 2023 N. 10184 E APP. MILANO, SEZ. I, 8 GIUGNO 2022, N. 1988.
Come ormai noto, Banca d’Italia (di seguito anche B.D.I.), nel lontano 2005, in veste di Autorità garante per la concorrenza nel settore bancario, ha accertato un cartello fra banche volto ad uniformare i testi contrattuali delle fideiussioni omnibus e ha, di conseguenza, sanzionato la deliberazione dell’associazione bancaria italiana (ABI) che aveva adottato e diffuso alle proprie associate uno schema di fideiussione che tale illecita intesa recepiva in toto, affermandone la contrarietà alla normativa antitrust.
Negli ultimi anni, come tutti sanno, attorno a tale questione si è sviluppato un enorme contenzioso fra banche e garanti che proprio in considerazione di quanto statuito da B.D.I. con il provvedimento n. 55 del 2005 hanno provato ad eccepire la nullità delle garanzie in quanto aderenti allo schema elaborato dall’ABI.
A fine 2021 sulla questione sono intervenute anche le Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia n. 41994 che ha affermato la tendenziale nullità parziale delle fideiussioni conformi allo schema ABI quanto ad alcune delle sue clausole. Nello specifico trattasi delle clausole n. 2, 6 e 8 del modello di ABI ossia le cd. clausole di: sopravvivenza, reviviscenza e di deroga all’art. 1957 c.c.. Ed è inutile nascondere che la nullità parziale delle fideiussioni può produrre effetti dirompenti per le banche: in particolare, il venir meno, per effetto della nullità antitrust, della deroga all’art. 1957 c.c. che impone alla banca di agire tempestivamente per il recupero del proprio credito, a pena di perdita di efficacia della garanzia. Il garante può, del resto, eccepire la decadenza della banca o della cessionaria del credito dall’escutere la garanzia per via del fatto – peraltro assai frequente – che la banca non ha rispettato il termine di sei mesi indicato dal predetto articolo, agendo tardivamente per il recupero del proprio credito.
Tutto risolto? niente affatto!
Infatti, la gran parte del contenzioso apertosi con banche e cessionarie del credito riguarda garanzie prestate successivamente al maggio del 2005 e, dunque, al provvedimento n. 55/2005 di B.D.I. che ha censurato il cartello tra le banche e lo schema di fideiussione omnibus elaborato nel 2003 da ABI che tale intesa recepiva e perpetrava.
La circostanza ha portato al paradosso per cui una fideiussione omnibus identica, nelle tre clausole incriminate, allo schema ABI ma successiva al maggio del 2005 ovvero assunto dalla Banca d’Italia in funzione di Autorità antitrust non sarebbe di per sè nulla, dovendosi provare la persistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza già accertata sino al 2005 anche per il periodo successivo ovvero nell’anno di rilascio della fideiussione oggetto di contestazione. Del resto, l’ABI, in osservanza alle prescrizioni della Banca d’Italia, avrebbe emendato il proprio schema riguardo alle tre clausole incriminate e ciò, secondo un certo filone di pensiero, avrebbe, di fatto, spezzato la continuità dell’intesa bancaria che ove, comunque, riscontrata nel mercato – come ancora oggi si riscontra – delle fideiussioni non sarebbe più stata conseguenza dello schema elaborato da ABI, in quanto, appunto, rettificato a seguito della decisione di B.D.I.
Il maggio del 2005 è diventata, quindi, una sorta di data spartiacque, discriminando, di fronte al ceto bancario, i garanti più vecchi da quelli più giovani. In termini strettamente pratici, le fideiussioni sottoscritte sino grosso modo al 2005 si presumono parzialmente nulle, salvo prova contraria della banca, mentre quelle successive, pur identiche, si
presumono valide, salvo prova contraria – non della banca – ma del fideiussore.
Si tratta dell’orientamento ad oggi maggioritario nei Tribunali, specialmente in quelli del centro nord ed in particolare del Tribunale di Milano che con la propria sezione specializzata antitrust ha inaugurato questo orientamento, successivamente ripreso anche da molti altri Giudici ordinari.
Il rigore di questo orientamento è stato temperato in parte con l’accoglimento di numerosi ordini di esibizione nei confronti degli Istituti di credito, tenuti a consegnare i propri testi di fideiussione affinchè il Giudice possa valutare se l’intesa lesiva della concorrenza persisteva ancora in relazione alle garanzie successive al 2005. Degli ordini di esibizione ottenuti dai garanti si è, in particolare, dato conto anche sul nostro sito web.
L’ordine di esibizione potrebbe, però, non risolvere necessariamente e sempre il problema della prova della persistenza dell’illecito antitrust anche per il post 2005.
In primo luogo, come evidente, anche solo per pura casualità, non è detto che l’ordine di esibizione dia un esito positivo; così com’è non è detto che le banche destinatarie vi ottemperino, pur essendo previste sanzioni pecuniarie elevate che però, a quanto consta, i Giudici rarissimamente comminano alle banche. Per di più vi sarebbe eccessiva discrezionalità in capo di Giudici volta volta chiamati a decidere nel valutare il risultato dell’esibizione, con conseguente imprevedibilità delle decisioni e disallineamento fra i vari Tribunali: l’intesa restrittiva della concorrenza potrebbe essere reputata sussistente per una fideiussione del 2010 da un Tribunale e non da un altro, proprio a seconda del diverso esito dell’esibizione e delle diverse valutazioni dei Giudici interessati!
Sarebbe una mostruosità giuridica ritenere provata un’intesa fra le banche da parte di un Tribunale e non magari da parte di un altro, pur trovandoci al cospetto di fideiussioni identiche rilasciate magari nello stesso periodo.
Che fare allora? arrendersi di fronte ad una banca che rifiuta di esibire le proprie fideiussioni o di fronte ad un Giudice che nega l’esibizione oppure la valuta insufficiente per ritenere provato il pacifico cartello fra le banche, tutt’oggi esistente?
Non necessariamente! mai darsi per vinti di fronte alla banca.
Esiste, infatti, un altro – pur minoritario ma autorevole – orientamento che supera il problema della prova del cartello illecito per il periodo successivo al 2005 che non risulta coperto dal provvedimento della Banca d’Italia.
Si tratta, nello specifico, dell’orientamento che va per la maggiore all’interno della Sezione antitrust del Tribunale di Roma che insieme a quella di Milano e di Napoli rappresenta l’intera giurisprudenza specializzata in materia antitrust.
Da ultimo, per quanto noto, il Tribunale antitrust di Roma si è espresso con la pronuncia n. 10184 del 27 giugno scorso (vedi anche: Trib. Imprese Roma, 18 febbraio 2022, n. 2659 in dirittodelrisparmio.it; Trib. Imprese Roma, 29 dicembre 2022, n. 19159 in sito web www. avvocatomandico.it ).
Si tratta di una decisione tutto sommato breve ma molto chiara e lineare nell’argomentare ed è stata resa all’esito di un giudizio antitrust avviato nel 2018 per ottenere da parte dei garanti l’accertamento della violazione della normativa antitrust in relazione a tre fideiussioni contenenti le condizioni-schema ABI stipulate nel 2005 e nel 2009 e la conseguente applicazione della nullità speciale disposta dall’art. 2 L. 287/1990.
Entrambe le fideiussioni per cui era causa erano successive al provv. n. 55/2005 di B.D.I., ma i Giudici romani, in aperto contrasto con l’orientamento più rigoroso dei loro Colleghi di Milano, non hanno ritenuto necessario dimostrare ex novo la sussistenza dell’intesa negli anni 2005 e 2009, posto che le fideiussioni impugnate risultavano fedeli allo schema ABI e tanto bastava, a detta della Corte Romana, per ritenerle parzialmente nulle ai sensi della normativa antitrust.
Ciò vuol dire che per una fideiussione aderente allo schema dell’ABI, seppur successiva al provv. di B.D.I., non occorre provare la persistenza dell’intesa e, dunque, nemmeno alcuna istanza di esibizione a carico delle banche.
Tale filone interpretativo riprende il ragionamento inaugurato, per primo, dalla nota e antesignana Cass. n. 29810/2017 che aveva precisato, tra l’altro, che, ai fini dell’illecito Antitrust, l’adeguamento o meno da parte dell’ABI alle prescrizioni impartite con il provv. n. 55/2005 B.D.I. non assume rilievo.
La gran parte delle sentenze di merito che si sono espresse nel senso sopra detto – comprese, appunto, quelle della Sezione antitrust di Roma – si sono, infatti, basate su detto principio e su quello successivamente pronunciato da Cass. Sez. I, 22 maggio 2019, n. 138468 secondo cui il Giudice di merito non potrebbe attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione impartita ad ABI da Banca d’Italia (di estromettere le clausole 2, 6 e 8 dallo schema diffuso presso il settore bancario) essendo, invece, tenuto a verificare se le disposizioni contrattualmente pattuite coincidono con le condizioni vietate dell’intesa restrittiva, dichiarando, in caso affermativo, la nullità – parziale – della garanzia impugnata in forza dell’elevata attitudine del provvedimento di B.D.I. a provare la condotta anticoncorrenziale.
Il vantaggio di un’adesione più cospicua da parte dei Tribunali a quest’ultimo orientamento non sarebbe certo da trascurare per i garanti che sarebbero di molto agevolati di fronte alla banca che, a quel punto, sconterebbero il paradosso di dover offrire loro la prova contraria della non derivazione della fideiussione dall’intesa anticoncorrenziale, magari richiedendo esse stesse al Giudice l’ordine di esibizione ad altri istituti di credito nel disperato tentativo di dimostrare il venir meno dell’illecito, per il periodo successivo al 2005.
Sarebbe un modo di dare giustizia vera ai garanti che hanno subito un’intesa e si trovano pure nella condizione di doverne dimostrare la persistenza al Giudice, anche di fronte all’evidenza.
La nota dolente di tutto ciò è che questo più che favorevole orientamento appare, per ora confinato, ad alcuni Giudici specializzati e ordinari (vedi, da ultimo, Trib. Firenze, 7 giugno 2023, n. 1703, in banca dati giuridica Dejure) del centro Italia, quando, soprattutto, il Tribunale di Milano e il resto del nord tendono, invece, ad aggravare l’onere della prova a carico dei fideiussori a tutto vantaggio delle banche Quello che è importante far notare ai nostri lettori è che se ciò è tendenzialmente vero, è pur vero che se un Giudice c’è sempre a Berlino, qualche volta lo si trova anche a Milano!
La Corte di Appello di Milano non pare, infatti, condividere l’orientamento sposato dai propri Colleghi di Tribunale, sia delle Sezioni ordinarie che delle Sezioni specializzate in materia antitrust.
Crediamo, infatti, che sia passata ai più inosservata un’apprezzabile sentenza della Corte di Appello di Milano (la n. 1988 del 8 giugno 2022 in www.giurisprudenzadelleimprese.it ) che ha ribaltato il responso negativo della Sezione specializzata antitrust del Tribunale meneghino, rilevando che “Il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 possiede un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale e il giudice di merito non può attribuire rilievo decisivo all’attuazione o non attuazione della prescrizione impartita da Banca d’Italia ad ABI, essendo, invece, tenuto a
verificare se le disposizioni contrattualmente pattuite coincidano con le condizioni vietate dell’intesa restrittiva (cfr. Cass., Sent. 13846/2019).”.
In quel caso, il Tribunale in prima battuta riteneva non provata l’esistenza dell’intesa per l’anno della fideiussione impugnata (il 2009), in quanto successiva al 2005 ma la Corte d’Appello, prima Sezione, richiamando, la giurisprudenza di Cassazione, e un proprio consolidato orientamento, smentiva il Tribunale, affermando che ove la fideiussione sia conforme al modello ABI, il provvedimento di B.D.I. è già prova sufficiente per ritenere parzialmente nulla la fideiussione
impugnata.
L’orientamento richiamato ha trovato ulteriore conferma anche nel corrente anno con altra pronuncia sempre della stessa Sezioni I della Corte di Appello (la n. 922 del 16 marzo 2023 in banca dati giuridica https://itaca.eurojus.it ) che ha ribaltato una sentenza del Tribunale di Lecco, giudicando parzialmente nulla una fideiussione omnibus del 2008 giusta, semplicemente, la sua ravvisata conformità allo schema elaborato da ABI.
Si tratta di un dato statistico importante sia per le cause dove vi è stata soccombenza in primo grado ma anche per quelle ancora da avviare, specie per quelle di competenza del foro di Milano, posto che la Sezione I della Corte d’Appello è quella deputata a trattare sia la materia bancaria che le cause antitrust.
Tutto questo per dire che se il Tribunale, in primo grado, ha respinto motivando in base alla mancata prova dell’intesa in relazione a fideiussioni successive al 2005, nulla è ancora perduto; c’è l’appello e c’è sempre un Giudice, anche a Milano!